Tutti, quando nasciamo, siamo “figli”, piccoli, bisognosi e affamati d’amore e se non riusciamo ad ottenerlo, può accadere che ci mettiamo in cerca del potere.
Andiamo a sostituire inconsapevolmente l’amore, o meglio, il vuoto dell’amore, con il potere.
E con potere intendo l’apparenza, la posizione sociale, il controllo, l’ostentazione del successo, rappresentati perfettamente dall’archetipo di Zeus, con i suoi fulmini scagliati dall’alto, il suo distacco, la sua freddezza.
Zeus onnipotente ma completamente disconnesso dal suo cuore e dal suo sentire.
Un uomo a metà. In questo caso un Dio a metà, incompleto.
Perché una cosa sono l’ambizione e l’assertività, tutt’altra la grandiosità e l’insensibilità.
Alla fine dell’ultimo corso sugli archetipi del maschile che ho tenuto a dicembre, riflettevo con una collega dell’equipe scuola, psicoterapeuta, sul fatto che se tutti fossimo più consapevoli che l’ostentazione del potere è sempre la spia di una ferita d’amore ripetuta e non curata, forse molti di noi sarebbero un po’ più timidi e morigerati nelle manifestazioni di grandezza e status.
E sarebbe una presa di consapevolezza importante perché la corsa al potere ha sempre come finale lo sbattere la faccia contro il muro dell’ assurdità di quella corsa -a cui magari però, abbiamo dedicato buona parte della vita- per arrivare alla fine ad ammettere con noi stessi che tutto ciò che avevamo sempre voluto era solo essere amati.
“Quando un paziente arriva da me, lo guardo e mi chiedo: questa persona è mai stata abbracciata?” -C.G.Jung-