Spesso mi viene chiesto in che modo si possa aiutare qualcuno che è rimasto impantanato in un fallimento o in un dolore. Aiutarlo a reagire o a chiedere aiuto.
Voglio essere chiara: che si tratti di un amico, di un partner, di un genitore, o anche di un figlio è difficilissimo cambiare un’altra persona.
La sofferenza nasce (e poi cresce) tra la consapevolezza e l’azione.
🔒L’altro potrebbe non aver ancora preso consapevolezza del suo stato, oppure potrebbe averlo fatto ma non essere ancora pronto per cambiare.
🔒Potrebbe non voler cambiare per diverse ragioni tra cui spesso c’è il fatto inconscio che lo star male le/gli da’ comunque dei benefici indiretti.
🔒Oppure potrebbe non riuscire a tirarsi fuori da una situazione perché non è ancora il momento, la zona di comfort in cui si trova, sebbene da fuori tu la veda come invivibile, per lei/lui non è ancora così insopportabile da fare il primo passo fuori da lì.
Non si può forzare un fiore a sbocciare: se una persona non cambia è perché per lei/lui non è ancora tempo, non è ancora arrivata la sua personalissima goccia che fa traboccare il vaso.
👉🏻L’infelicità dell’altro non dipende da te; cosi come la tua felicità non dipende dall’altro.
👉🏻Ognuno è tenuto ad occuparsi e manutenere la propria felicità, non per egoismo, ma perché la felicità non è fuori ma è dentro la mente.
Ciò che puoi fare quindi, se si tratta di una persona con cui hai un legame molto stretto, è cambiare il tuo abituale modo di comunicare con lei/lui così da “modificare il sistema” e invogliarla/o a reagire al tuo nuovo modo di relazionarti facendo un passo fuori dalla sua “bolla”, e magari a riadattarcisi in modo più funzionale.
Cambiare il copione comunicativo non è cosa da poco, richiede una grande capacità di gestione delle emozioni e un’accurata revisioni delle parole, dei toni, dei gesti e delle reazioni abituali ma si può fare, e se mantenuto nel tempo è uno strumento potente per aiutare l’altro a vedere nuove possibilità e a tentare nuovi comportamenti.