Spesso mi viene chiesto in che modo si possa aiutare qualcuno che è rimasto impantanato in un fallimento o in un dolore. Aiutarlo a reagire o a chiedere aiuto.
Voglio essere chiara: che si tratti di un amico, di un partner, di un genitore, o anche di un figlio è difficilissimo cambiare un’altra persona.
La sofferenza nasce (e poi cresce) tra la consapevolezza e l’azione.
L’altro potrebbe non aver ancora preso consapevolezza del suo stato, oppure potrebbe averlo fatto ma non essere ancora pronto per cambiare.
Potrebbe non voler cambiare per diverse ragioni tra cui spesso c’è il fatto inconscio che lo star male le/gli da’ comunque dei benefici indiretti.
Oppure potrebbe non riuscire a tirarsi fuori da una situazione perché non è ancora il momento, la zona di comfort in cui si trova, sebbene da fuori tu la veda come invivibile, per lei/lui non è ancora così insopportabile da fare il primo passo fuori da lì.
Non si può forzare un fiore a sbocciare: se una persona non cambia è perché per lei/lui non è ancora tempo, non è ancora arrivata la sua personalissima goccia che fa traboccare il vaso.
L’infelicità dell’altro non dipende da te; cosi come la tua felicità non dipende dall’altro.
Ognuno è tenuto ad occuparsi e manutenere la propria felicità, non per egoismo, ma perché la felicità non è fuori ma è dentro la mente.
Ciò che puoi fare quindi, se si tratta di una persona con cui hai un legame molto stretto, è cambiare il tuo abituale modo di comunicare con lei/lui così da “modificare il sistema” e invogliarla/o a reagire al tuo nuovo modo di relazionarti facendo un passo fuori dalla sua “bolla”, e magari a riadattarcisi in modo più funzionale.
Cambiare il copione comunicativo non è cosa da poco, richiede una grande capacità di gestione delle emozioni e un’accurata revisioni delle parole, dei toni, dei gesti e delle reazioni abituali ma si può fare, e se mantenuto nel tempo è uno strumento potente per aiutare l’altro a vedere nuove possibilità e a tentare nuovi comportamenti.